13 aprile 2012

MARSHALL, TRA BURRO E CANNONI UN PIANO PER L’OCCIDENTE

1945, l’Europa è devastata dal conflitto e su essa gravano due piaghe diaboliche: la fame e il comunismo. Gli Stati Uniti decidono di intervenire ancora, partono dai viveri, arrivano alle armi e avviano un lento processo di unità politica ed economica. Il Vecchio Mondo rinasce ma è ormai colonia tra i signori della guerra fredda

EUROPA ANNO ZERO
“Venti milioni di persone vagavano disperate e senza casa… vagavano senza una meta, verso Est e verso Ovest, verso Nord e verso Sud, in tutto il continente. Ufficialmente chiamati profughi di guerra, questi rifugiati erano una schiera immensa: tedeschi che si riversavano dai paesi slavi verso Est e verso il Reich devastato, polacchi e cechi che li seguivano da vicino nelle città distrutte… ungheresi che marciavano trascinandosi penosamente per la pianura della Pannonia.
In tutta Europa la libertà per cui tante nazioni avevano combattuto era tutt’altro che evidente mentre nell’Est, in particolare, erano ricomparse le condizioni del periodo della prima guerra mondiale: una dittatura dopo l’altra. Il futuro non era mai sembrato tanto lontano”. D. W. Ellwood, L’Europa ricostruita, p.48.

Questa è la condizione dell’Europa all’indomani della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, una catastrofe economica e umanitaria su cui già si giocano i destini del mondo: la politica dei “blocchi”, Est e Ovest, Stati Uniti e Unione Sovietica, democrazie liberali e regimi comunisti. Bisogna salvare il continente, o quella parte Occidentale ancora non in mano a Mosca che risucchia un territorio dopo l’altro con la sua promessa sociale salvifica facendo breccia nella più cupa disperazione dei popoli annientati dalle conseguenze del conflitto.

Sarà George Catlett Marshall (1880-1959), dopo le fatiche della guerra come capo di Stato maggiore dell’esercito americano e poi dal 1947 come segretario di Stato, a studiare e realizzare un piano di ricostruzione europea, un programma di aiuti che non è in sé una mera distribuzione di viveri e risorse ma un’idea d’Europa politica ed economica: “All’Europa distrutta ed insidiata dalla minaccia sovietica gli Stati Uniti offrivano, insieme al denaro, la stessa terapia che era all’origine del successo della loro storia nazionale: l’unità. L’America avrebbe aiutato tanto più generosamente i paesi europei quanto più essi si fossero dimostrati capaci di seppellire le loro divergenze, sommare i loro sforzi, integrare le loro economie”. S. Romano, Guida alla politica estera italiana, p.51.


CONTRO I ROSSI LA TEORIA DELLA CRESCITA
Alla fine della guerra si intravede benissimo l’inizio della divisione dell’Europa da una dichiarazione di Stalin: “Questa guerra non è come in passato; chiunque occupa un territorio vi impone il proprio sistema sociale. Ognuno impone il proprio sistema, nella misura in cui il suo esercito ha il potere di farlo. Non può esser altrimenti”. D. W. Ellwood, Cit., p.16.

“Italia e Francia erano potenze in ombra, la Germania aveva perso aveva perso la sua unità politica e territoriale, la Gran Bretagna non era, più, politicamente al centro del mondo, i paesi dell’Est europeo erano spariti nell’impero russo. Questo era lo sconfortante mosaico dell’Europa al suo tramonto. Ma era proprio in questo scenario che stavano le ragioni per voltare pagina, per intraprendere qualcosa di nuovo che avrebbe potuto salvarla”. G. Giordano, Carlo Sforza: la politica 1922-1952, p.239.


Di fronte a questa prospettiva, gli Stati Uniti sono più che mai convinti della necessità di impiegare un misto di elementi ideali e pratici per affermare la loro influenza geopolitica sui nuovi equilibri. Ideali: puntando a garantire ad ogni nazione il diritto di scegliere democraticamente il loro futuro. Pratici: battezzando il concetto di crescita quale riferimento nella competizione con il sistema sovietico. Questo è il passaggio fondamentale alla base dello stesso Piano Marshall.
La premessa che viene determinandosi negli ambienti oltreoceano per sistemare la “questione europea” prima di esserne travolti e ritrovarsi le bandiere rosse sotto casa, è tenere presente che la povertà delle masse va di pari passo con il totalitarismo e la guerra, allora bisogna proiettare nel mondo il modello americano. Ma soprattutto bisogna avviare un processo di modernizzazione, ricostruendo l’industria e i commerci per approdare alla sicurezza collettiva, al libero scambio e ad una maggiore prosperità degli individui.

Proprio di ritorno da una conferenza stampa a Mosca in Marshall si rafforza la convinzione che Stalin vede nelle “enormi difficoltà economiche in cui si dibatteva l’Europa l’arma vincente per la sua politica espansionistica. La miseria imperversava in gran parte del continente europeo. In Francia e in Italia, i cui governi si erano liberati della scomoda presenza dei comunisti, con ciò schierandosi più marcatamente nel campo occidentale, l’amarezza era profonda. Bisognava dare ad essi, e non solo ad essi, una risposta efficace”. G. Giordano, Storia della politica internazionale 1870-1992, p.291.

E la risposta comincia a prendere forma a giugno del 1947 proprio dalle parole del generale in un discorso ad Harvard: “La nostra politica non è diretta contro un paese o una dottrina ma contro la fame, la povertà, la disperazione e il caos… Il compito degli Stati Uniti dovrebbe consistere in un’assistenza amichevole per l’elaborazione di un programma europeo e, più tardi, in un appoggio a tale programma, nella misura in cui sarà pratico farlo”.

NEMMENO I CHIODI PER LE BARE
Un’ambizione certamente smisurata considerata la situazione del vecchio continente leggendola dalle parole del vice Primo ministro britannico Clemen Attlee: “A poco a poco si va diffondendo la consapevolezza che la condizione dell’Europa è indicibilmente grave, e che un nuovo atteggiamento verso i suoi problemi è assolutamente necessario”.
Molto più cruda una cronaca del New York Times: “Non si è mai vista una tale distruzione, una tale disintegrazione della struttura della vita. I liberati non possono essere nutriti o rimessi sulla via della ripresa. L’aumento vertiginoso dell’indice di mortalità e della percentuale dei casi di tubercolosi in Francia durante il primo inverno della liberazione è tipico. In Italia gli aiuti mandati dagli Stati Uniti, benché considerevoli, sono solo una goccia in un oceano di necessità. In Belgio la situazione è politicamente critica, in Olanda è anche peggiore”.
Insomma appare più che evidente che servono, ma ancora non esistono, piani efficaci per affrontare un dramma così vasto; soprattutto per le popolazioni prive dei beni di primissima necessità. Perfino dei chiodi per chiudere le bare!!!
L’impressione che i commentatori del tempo diffondono maggiormente è che nei primi anni successivi alla guerra, le principali preoccupazioni delle popolazioni dell’Europa Occidentale sono il comunismo e la fame: e la prima si teme possa essere conseguenza della seconda. Tanto emerge dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite nel 1946: “In Europa 100 milioni di persone vivevano con di 1.500 calorie al giorno o meno, al livello cioè in cui la salute subisce gravi danni e la capacità lavorativa viene rapidamente ridotta o distrutta. Altri 40 milioni di persone vivevano a un livello leggermente meno pericoloso, tra le 1.500 e le 2.000 calorie. Queste popolazioni erano anche disperatamente a corto di alloggi, attrezzature domestiche, utensili, vestiti e scarpe”.
Solo in Francia, ad esempio, le razioni alimentari ufficiali bastano a descrivere la situazione:
-         mezzo chilo di grasso al mese;
-         2 etti di carne alla settimana;
-         mezzo chilo di zucchero al mese,
-         2 chili di patate al mese;
-         1 etto e mezzo di formaggio;
-         latte solo ai bambini;
-         50 chili di carbone per tutto l’inverno.

In breve, miglioramento del tenore di vita e unificazione europea devono essere la barriera difensiva dai rischi di influenza sovietica sul resto d’Europa, e nel medio periodo un argine all’eterna guerra civile del continente dissanguato da secoli di continui conflitti.
Proprio nel corso del 1946 “vennero improvvisati programmi di aiuti per impedire che accadesse il peggio. Ma nessuno era soddisfatto dei risultati, e da tutte le parti comparvero pressioni perché gli Stati Uniti adottassero un modo diverso di affrontare il problema, una nuova politica che collegasse tutti i fattori economici in un sistema transatlantico di collaborazione pratica che sostituisse le utopie fallite o non realizzate del periodo della guerra”. D. W. Ellwood, Cit., p.53.

Quale deve essere in questa prospettiva la politica degli Stati Uniti?

UNA CROCIATA IDEOLOGICA
Una prima idea arriva all’inizio del 1947 dal segretario di Stato statunitense John Foster Dulles che traccia un’elaborazione del futuro europeo basato sulla resistenza politica all’espansionismo sovietico, federazione secondo il modello americano, unificazione economica.
La svolta avverrà tra la primavera e l’estate del 1947 con l’esposizione della Dottrina Truman e conseguentemente con l’avvio del Piano Marshall. Il Presidente americano Harry Truman nel suo celebre discorso al Congresso americano, 12 marzo 1947, dichiara di essere deciso ad “aiutare i popoli liberi a mantenere le loro libere istituzioni e la loro integrità nazionale di fronte ai movimenti aggressivi che cercano di imporre loro un regime totalitario… Con questo si vuole solo riconoscere con franchezza che i regimi totalitari imposti ai popoli liberi attraverso un’aggressione diretta o indiretta minano le fondamenta della pace internazionale e quindi la sicurezza degli Stati Uniti”.
È la svolta, una crociata ideologica: “Gli Stati Uniti avrebbero soprattutto voluto dimostrare la loro innata fiducia in ciò che essi rappresentavano: un sistema politico ed economico che non soltanto aveva prodotto il tenore di vita più alto mai conosciuto dal mondo, ma era anche in grado di allargarsi e di migliorare per soddisfare i moderni bisogni e desideri, e capace di proiettare il proprio esempio, perché consapevole che ciò che poteva dare, diversamente dal caso dell’Unione Sovietica, era appunto ciò che l’Europa desiderava”. D. W. Ellwood, Cit, pp.106-107.

Solo altruismo e idealismo? No. L’obiettivo è ricostruire un’economia mondiale funzionante, stabilizzare le nazioni democratiche e combattere la propaganda comunista e socialista che minaccia il modo di vita americano. Oltretutto gli Stati Uniti non possono permettersi un crollo europeo che avrebbe effetti terribili sulla propria economia interna: scomparsa dei mercati per le eccedenze, disoccupazione, depressione e un bilancio gravemente squilibrato da un debito di guerra gigantesco.
Con la dottrina Truman, dunque, la politica estera americana volta pagina ed apre un confronto a tutto campo con l’Unione Sovietica. Si inaugura un’era fortemente conflittuale nei rapporti Est-Ovest. E con il Piano Marshall si sanziona la spaccatura in due dell’Europa.
Tra le finalità del Piano una serie di comuni obiettivi per le nazioni che lo accettano in termini di produzione industriale, stabilizzazione finanziaria e liberalizzazione del commercio:
-         ripristino della produzione antebellica di cereali da pane;
-         aumento della produzione del carbone;
-         espansione della produzione di elettricità;
-         sviluppo della capacità di raffinazione;
-         aumento della produzione dell’acciaio;
-         estensione dei trasporti di entroterra;
-         ripristino e rimessa in funzione delle flotte mercantili.

Fino al 1951 oltre 12 miliardi di dollari hanno raggiunto gli Stati beneficiari europei raccolti nell’OEEC (Organisation for European Economic Cooperation) incaricata di raccogliere e gestire le assegnazioni economiche del programma di finanziamenti. Le principali voci di spesa riguardano:
-         viveri, mangimi e fertilizzanti;
-         materie prime e prodotti semilavorati;
-         carburante;
-         macchinari e veicoli;
-         spedizioni e servizi.

“Gli esperti sono concordi nel sostenere che la configurazione dell’assetto economico dell’Europa del dopoguerra diventò riconoscibile a partire dal 1949. Quello fu l’anno in cui i frutti di investimenti forti e prolungati e dell’espansione della produzione cominciarono ad essere finalmente visibili alle tribolate popolazioni del Vecchio Mondo… gli investimenti, il commercio e la produzione industriale ebbero un’espansione senza precedenti, imperniata sulla ripresa della Germania”. D. W. Ellwood, Cit., pp.177-178.

DAL BURRO AI CANNONI: SVILUPPO ECONOMICO E TERRORE ATOMICO
Ben presto si capirà che le sole risorse economiche e finanziarie non bastano a ridare fiato ed equilibrio al mondo. È la guerra fredda a dettare l’agenda: “Un’epoca in cui la bomba atomica rendeva impensabile una guerra tradizionale, ma allo stesso tempo la pace era resa impossibile da un’inconciliabile ostilità ideologica”. D. W. Ellwood, Cit., p.136.

Lo scoppio della Guerra di Corea nel 1950 ribalta ogni prospettiva, decreta la fine del Piano Marshall nelle sue forme originarie e apre la strada al più grande programma di spese militari di tutta la storia. Se l’invasione della Corea del Sud viene vista come una manovra aggressiva sovietica a livello mondiale, a maggior ragione gli americani vedono nella difesa dell’Europa Occidentale un impegno strategico supremo. Ma ciò significa che da quel momento Washington detterà legge più di prima.
Si passa dal burro ai cannoni, ma nero su bianco vengono impresse precise condizioni:
-         Gli aiuti del Piano Marshall e gli aiuti militari sono benefici per voi, perché vi danno, in quanto europei, la possibilità di riuscire, se vi impegnate, a rendere l’Europa abbastanza forte da scoraggiare ogni aggressione;
-         Ma una cosa va precisata: questa forza può essere ottenuta soltanto attraverso l’unità. Come potenze separate, in rivalità tra loro, le nazioni dell’Europa libera sono veramente deboli, veramente esposte ai pericoli;
-         La produttività deve aumentare, perché l’Europa, per diventare tanto forte da essere inattaccabile, ha bisogno di una maggior disponibilità di viveri, di macchinari di quasi tutto.

Gli effetti della nuova ma necessaria politica di difesa si faranno sentire ben presto: “L’espansione dello sforzo difensivo americano sottoponeva la scorta mondiale di materie prime a una pressione eccezionale. A breve scadenza, il risultato fu di annullare buona parte dei passi avanti che erano stati compiuti, durante i primi anni del Piano Marshall, nella direzione di un equilibrio finanziario internazionale”. D. W. Ellwood, Cit., p.243.

Solo dal 1953 la situazione riprende un cammino più positivo, addirittura si profilano un boom postbellico delle nascite e un’espansione della produzione e delle esportazioni. Si affacciano sulla scena nuove parole per descrivere i processi in corso: impennata, sviluppo, prosperità, crescita economica…
Ma il quadro generale ormai è chiaro e dominato da una conflittualità ideologica planetaria per i successivi 50 anni fino alla caduta del Muro di Berlino: “La divisione dell’Europa e l’onere difensivo che ne era derivato erano stati duri da sopportare… Tutti erano contenti che il peggio fosse passato, ma il senso di benessere si dimostrava fragile, e la paura di una guerra atomica in certi momenti era fortissima”. D. W. Ellwood, Cit., p.273.

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